Tarant' Nuestr'



'U tarandine

Tarant' Nuestr' e' di origine spartana, a differenza dell'entroterra tarantino.
Appena uscito dalla citta' senti subito una forte differenza parlando il dialetto locale: mentre quello tarantino e' gutturale e locale caratteristico della sola citta' (deriva dal greco parlato a Sparta), spostandoti di qualche km -gia' nella provincia di Taranto- il dialetto cambia e diventa verso nord-est simile al dialetto barese, verso sud-est simile al dialetto salentino (leccese/brindisino).

Il dialetto tarantino ('u tarandine) e' un idioma parlato nella citta' di Taranto ed in alcuni paesi della parte occidentale dell'omonima provincia. Esso possiede la particolarita' di essere un idioma comunale, ovvero, la sua variante piu' genuina e' parlata esclusivamente entro i confini della citta', in particolare nel centro storico, sebbene anche qui con le varie differenziazioni comunicative dovute ai cambi generazionali. Infatti, pur essendo Taranto confinante con altre province pugliesi, nella parlata tarantina non si riscontrano immediate similitudini con il dialetto salentino e con quello barese ne' nell'accento, ne' nella pronunzia, ne' nelle voci di questi ultimi.

Il dialetto tarantino ha la particolarita' di essere un idioma comunale, ossia la sua variante piu' pura e' parlata esclusivamente entro i confini della citta' di Taranto. Esso, tuttavia, influenza significativamente la parte settentrionale dell'omonima provincia formando le varianti delle citta' di Crispiano, Palagiano, Massafra e Statte. A est del capoluogo, gia' a San Giorgio Ionico, viene parlato un dialetto salentino di variante brindisina, comune a tutta la zona settentrionale del Salento. A sud, invece, il tarantino influenza significativamente il dialetto di Talsano.

La colonizzazione dei Greci ha lasciato un notevole influsso linguistico, sia dal punto di vista lessicale che morfo-sintattico, nonche' un particolarissimo accento che secondo gli studiosi doveva corrispondere all'antica cadenza dorica. Questi influssi sono ancora oggi notabili in parole di origine greca.

Le origini

Taranto e' stata fondata nel 706 aC dai Parteni guidati da Falanto che, seguendo le parole dell'Oracolo di Delfi, cercarono sulle coste Joniche nuove terre da conquistare.

I Parteni giunsero sulle coste dell'Italia Meridionale e dopo una sanguinosa guerra contro le popolazioni locali, gli Japigi, conquistarono l'intero territorio grazie alla loro superiore abilita' in combattimento.

Taranto, colonia Spartana, divenne nel IV sec. a.C una delle piu' ricche e importanti citta' del mondo conosciuto tanto da essere considerata oggi la Capitale della Magna Grecia. Sebbene Taranto e Sparta fossero citta' autonome e indipendenti rimasero in stretto contatto sul piano economico, politico e culturale fino alla conquista romana.



Le colonne doriche del Tempio di Poseidone si trovano in Piazza Castello di fronte al Castello Aragonese, nella Citta' Vecchia, subito dopo aver attraversato il Ponte Girevole provenendo dal Borgo Nuovo. Sono l'unica testimonianza dell'esistenza del tempio dorico di Poseidone. Se ne stanno li', solenni e maestose, a dare il benvenuto a chi oltrepassa il Ponte Girevole e a raccontare, mute, una storia secolare.

Esistono altri templi dorici disseminati in Italia (Sicilia e Campania per lo piu') ma quello di Taranto - o quel che ne rimane - e' il piu' antico luogo di culto della Magna Grecia.
Pensate un po'. Le nostre colonne doriche, uniche superstiti di un tempio che fu, hanno visto la luce prima di quelle di Siracusa e di Paestum. Tutto e' cominciato da qui, da Taranto, poi e' venuto tutto il resto.

Colonne doriche del Tempio di Poseidone

Colonne doriche del Tempio di Poseidone

La leggenda: Falanto approda a Saturo

"Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai Territori e Citta' e sarai la rovina degli Japigi" recitavano le parole dell'Oracolo.

Racconta Strabone nella sua Geografia, come Sparta rischiasse di non avere piu' una giovane generazione di guerrieri a causa della lontananza degli uomini dalla citta', per via delle lunghe guerre messeniche in cui Sparta era contrapposta alla vicina Messenia, vincolati da un solenne giuramento di non fare ritorno a casa prima di aver conquistato la citta' ed i terreni che le appartenevano. Per risolvere il problema della natalita', gli Spartiati acconsentirono affinche' i Perieci, cioe' i cittadini che non godevano di tutti i diritti politici propri degli Spartiati, potessero unirsi alle donne per procreare. Ma i nuovi nati vennero considerati figli illegittimi, detti poi Parteni, e destinati pertanto a vivere emarginati e in condizione di subalternita'.

Giunse il momento in cui i Parteni, guidati da Falanto, organizzarono una sommossa insieme agli schiavi, per ottenere dall'aristocrazia i diritti loro negati: la sommossa falli' e i rivoltosi, non potendo essere condannati a morte al pari degli schiavi, furono obbligati a lasciare la citta' alla ricerca di nuove terre. Prima di partire, Falanto consulto' l'Oracolo di Delfi alla ricerca di un responso circa il proprio futuro. L'oracolo di Apollo, tramite la Pizia, cosi' sentenzio':

    "Vi concedo di abitare Saturo e siate la rovina degli Iapigi"

Falanto chiese anche un segno con cui capire quando sarebbe giunto il momento opportuno, e l'oracolo sentenzio':

    "Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e citta'"

Acropoli di Saturo-Terme

Acropoli di Saturo - Terme in villa

Raggiunte le terre degli Iapigi, i Parteni non riuscirono ad avere la meglio sugli indigeni, ma si limitarono a prendere possesso del promontorio di Saturo. Venne un giorno in cui le ambizioni e le delusioni di Falanto, lo videro sedere per terra con il capo poggiato sulle ginocchia della moglie, la quale stanca e scoraggiata, comincio' a piangere e a bagnarlo con le sue lacrime. Ma il nome della moglie Etra ha proprio il significato di "cielo sereno", per cui Falanto, ricordandosi dell'oracolo, ritenne giunto il momento di fondare una citta': guidando i suoi uomini verso l'entroterra fondo' cosi' Taranto, richiamandosi all'eroe greco-iapigio del luogo chiamato Taras.

Mentre gli indigeni riparavano a Brindisi, Falanto pote' finalmente costituire in Italia una colonia lacedemone, retta dalle leggi di Licurgo. In seguito a contrasti con i concittadini (per seditionem), Falanto venne scacciato con ingratitudine da Taranto e si rifugio' a Brindisi, proprio presso gli Iapigi che aveva sconfitto. In quel luogo mori' e ricevette un'onorata sepoltura dai suoi ex nemici.

Sul letto di morte, tuttavia, Falanto volle far del bene ai suoi ingrati concittadini: convinse i brindisini a spargere le sue ceneri nell'agora' di Taranto, perche' cosi' facendo si sarebbero assicurati la conquista della citta'.

In realta', l'oracolo aveva predetto a Falanto che Taranto sarebbe rimasta inviolata se le sue ceneri fossero rimaste entro le mura. Cosi' Falanto, ingannando i brindisini, fece un favore ai tarantini che da allora gli resero l'omaggio dovuto ad un ecista.

Pannello rapprentante il Mito di Falanto

Falanto, Etra e la Pizia benedicente


Il pannello, sito in corso Vittorio Emanuele II nel Borgo antico, visibile da tutta la rada di Taranto, riporta il fondatore di Taranto Falanto in grembo a sua moglie Etra durante la realizzazione della profezia dell'Oracolo di Delfi.

La Pizia benedicente la fondazione e' posta sul segmento destro della porzione centrale. Sulla porzione destra e' riportato il testo dell'oracolo "Quando vedrai piovere dal ciel sereno conquisterai territorio e citta'" in lingua italiana e greca.

Fu dopo il naufragio delle navi a causa della burrasca che gli spartani approdarono a Saturo, esausti si sdraiarono sulla sabbia, Falanto lo fece appoggiando la testa sulle gambe della moglie Etra che affranta si mise a piangere, le lacrime scivolarono sul volto del nostro fondatore che ebbe l'impressione che stesse piovendo ma le lacrime scendevano dal volto di Etra sopra il quale si vedeva il cielo azzurro.

In quel momento Falanto comprese le parole dell'oracolo.

Eta' classica, ellenistica e romanica

Eta' classica: a partire dalla fondazione nel 706 a.C. Taranto rimase sempre allineata alla politica spartana. Governata da un istituto monarchico-tirannico, continue furono le aggressioni ai danni dei vicini fino alla definitiva sconfitta subita da Taranto contro gli Iapigi nel 473 a.C. annoverata dallo storico greco Erodoto tra le piu' gravi sconfitte inflitte a popolazioni di stirpe greca.
Questo evento provoco' la crisi della classe aristocratica al potere, che non pote' opporsi ad una rivoluzione istituzionale di tipo democratico, in quanto decimata dalla guerra.
La democrazia, tuttavia, confermo' la politica aggressiva di Taranto nei confronti del mondo esterno.
Taranto sempre allineata alla politica di Sparta, in occasione della guerra del Peloponneso tra Sparta ed Atene, pur non coinvolta direttamente nel conflitto, nego' nel 415 a.C. l'approdo alle navi della flotta ateniese dirette verso la Sicilia, in occasione della disastrosa spedizione ateniese.

Eta' ellenistica: il periodo di maggiore floridezza della citta' corrisponde al governo settennale di Archita, tra il 367 e il 361 a.C, che segno' l'apice dello sviluppo tarantino ed il riconoscimento della preminenza sulle altre colonie greche dell'Italia meridionale, facendone la citta' piu' importante ed influente della Magna Grecia.
Nel 303 a.C., allo scopo di frenare l'espansione di Taranto, i Lucani si allearono con Roma, che, tuttavia preferi' concordare la pace; nei trattati stipulati fu inclusa una clausola in base alla quale veniva vietato alle navi romane di spingersi piu' ad oriente del promontorio Lacinio. Questi trattati furono violati da Roma, il promontorio Lacinio venne oltrepassato. Taranto si oppose fermamente affondando 4 navi romane e dileggiando l'ambasciatore Lucio Postumio inviato da Roma per evitare una guerra.
Tutto questo fu il pretesto affinche' la guerra venisse dichiarata nel 281 a.C.

Le guerre contro Roma e l'eta' romanica. Taranto, per resistere alla potenza di Roma, strinse un'alleanza con Pirro, Re dell'Epiro e nipote di Alessandro Magno, il quale invio' il suo luogotenente Milone con un esercito di circa 30.000 uomini e 20 elefanti. Inizialmente prevalsero gli Epiroti nella famosa battaglia di Heraclea e nella battaglia di Ascoli Satriano vinta pero' a caro prezzo (e per questo motivo detta anche "vittoria di Pirro") per volgere a favore dei Romani con la disfatta di Maleventum (attuale Benevento).
Pirro' si ritiro' in Grecia, dove mori' poco dopo, lasciando a Taranto una piccola guarnigione comandata da Milone.
Fu a questo punto che i tarantini chiamarono una flotta cartaginese a sostegno, affinche' li aiutasse a liberarsi del presidio epirota.
Per tutta risposta Milone consegno' la citta' al console romano Lucio Papirio Cursore, segnando il passaggio di uno dei fari dell'antichita' dal periodo Magno Greco alla dominazione romana a partire dal 272 a.C.

Papirio fece smantellare le mura della citta', le impose un tributo di guerra e gli sottrasse tutte le armi e tutte le navi.
Tutto cio' che ornava Taranto (statue dell'arte greca, oggetti preziosi, pregevoli quadri) e qualsiasi cosa di valore, fu inviato a Roma, insieme ai matematici, ai filosofi, ai letterati, tra cui Livio Andronico, che tradusse dal greco l'Odissea per far conoscere ai romani l'epica greca; il grande poeta Leonida, invece, riusci' a fuggire prima della capitolazione della citta', ma da quel momento visse un'esistenza miserrima, morendo in esilio. Cio' nonostante, Roma si astenne dall'infliggere a Taranto punizioni eccessive e vide rispettati i suoi monumenti, le sue leggi e la sua autonomia amministrativa e considerata nel novero delle citta' alleate, proibendole pero' di coniare moneta.

L'importanza per i romani di questa conquista fu sottolineata da solenni feste, che durarono otto giorni, in cui furono celebrati Lucio Papirio e gli altri protagonisti della vittoria. Una vittoria che mise Roma in diretto contatto con la cultura greca da cui rimase irrimediabilmente affascinata.

Rimasta fedele a Roma durante la I guerra punica, durante la II guerra punica crebbero a Taranto sentimenti contro i Romani. Grazie al tradimento di due cittadini tarantini favorevoli all'arrivo dei Cartaginesi, Annibale riusci' nel 212 a.C. ad impadronirsi della citta', costringendo i Romani a rinchiudersi in una roccaforte e a difenderla ad oltranza, cosa che gli impedi' di usare Taranto come base per le sue truppe.

Nel 209 a.C., il sessantenne console romano Quinto Fabio Massimo, detto il Cunctator, il Temporeggiatore, si impadroni' nuovamente della citta'. La punizione per il tradimento fu inesorabile: Taranto venne saccheggiata e distrutta e dovette subire la deportazione di 30.000 uomini poi venduti come schiavi. Si tratto' della definitiva sottomissione a Roma e la fine di un'epoca.

Nel 123 a.C. Gaio Gracco istitui' una colonia romana nel territorio confiscato dallo stato romano. Dopo l'89 a.C., la comunita' greca e la colonia romana confluirono in un'unica struttura amministrativa, il cosiddetto "municipium", segnando l'omologazione completa di Taranto nella Repubblica Romana. Fu la fine dell'importanza politica e militare di Taranto, ma non di quella economica, con una floridezza che continuo' fino all'eta' augustea, come dimostrano i mosaici delle domus romane visibili anche all'interno del museo di Taranto.

Secoli successivi e Principato di Taranto

Nel 476 con la caduta dell'Impero romano d'Occidente, Taranto si avvio' verso un periodo di decadenza lungo ed inesorabile, causato anche dallo sviluppo progressivo del porto di Brindisi.

Riacquisto' grande sviluppo economico e fioritura culturale nel periodo del Principato di Taranto (1088-1465), uno dei principati normanni piu' importanti del Sud Italia che si estendeva in tutto il Salento ed in parte delle odierne terre baresi.
Le testimonianze di questo glorioso passato, dalla fondazione spartana alla grande nobilta'  tarantina nel 1700, sono documentabili e visibili nel Borgo Antico di Taranto che per il suo patrimonio storico e culturale risulta tra i piu' ricchi e antichi d'Europa.

"E se il destino avverso mi terra' lontano, allora cerchero' le dolci acque del Galeso; caro alle pecore avvolte nelle pelli e gli ubertosi campi che un di' furono di Falanto lo Spartano"
[Quinto Orazio Flacco - Odi - All'amico Settimio]


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